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Surfcasting: le caratteristiche tecniche per lanci lunghi e una pesca perfetta

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Surfcaster
Surfcaster (© Depositphotos)

C’è un momento preciso, quando si è in spiaggia col buio pesto e il rumore della risacca che riempie le orecchie, in cui il pescatore capisce se la sua attrezzatura è all’altezza della situazione. Il surfcasting non è una disciplina che perdona le approssimazioni: richiede di raggiungere distanze notevoli per intercettare i pesci al pascolo dietro i frangenti, spesso con piombi pesanti e vento contrario. In questo contesto, la canna non è un semplice bastone, ma un vero e proprio accumulatore di energia cinetica.

Molti neofiti commettono l’errore di pensare che la distanza sia solo una questione di forza fisica. Niente di più sbagliato. La distanza è il risultato di un’equazione fisica dove la tecnica di lancio moltiplica la capacità dell’attrezzo di caricarsi e restituire potenza in modo esplosivo. Capire quale canna scegliere tra le varie tipologie presenti sul mercato è il primo passo per trasformare una serata di tentativi frustranti in una sessione di pesca memorabile.

La fisica dietro il lancio perfetto

Per comprendere cosa cercare in una canna da surfcasting, bisogna prima visualizzare cosa accade durante il lancio. Immaginate la canna come una molla: durante la rotazione o la chiusura del lancio, il fusto si flette accumulando energia potenziale elastica. Al momento del rilascio, questa energia si trasforma in velocità impressa al piombo. Se la canna è troppo morbida, si “siede”, ovvero non riesce a gestire il peso del piombo e l’accelerazione, disperdendo energia. Se è troppo rigida e la tecnica del pescatore non è eccelsa, non si caricherà mai a dovere, comportandosi come un palo rigido che non spinge. Il segreto sta nel trovare il giusto compromesso tra la reattività del carbonio e la propria abilità tecnica.

Canne ripartite: la scelta dei puristi

Quando si parla di metri guadagnati, la conversazione cade inevitabilmente sulle canne ripartite (spesso in due sezioni). Queste sono le “Formula 1” del surfcasting. Costruite solitamente con carbonio ad altissimo modulo e resine innovative, hanno una struttura che permette di gestire lanci tecnici come il Ground Cast o il Pendulum. La caratteristica distintiva della ripartita è, come suggerisce il nome, la ripartizione della potenza lungo il fusto in modo non uniforme. Solitamente presentano un manico molto rigido (butt) e una cima (tip) capace di disegnare un arco perfetto sotto sforzo. Questa struttura permette di gestire grammature importanti, spesso oltre i 175 grammi, senza il timore di rotture strutturali. Tuttavia, richiedono un periodo di apprendimento: non sono canne “plug and play”. Se non le si carica con la giusta tecnica, paradossalmente si lancerà meno lontano che con una canna economica.

Il mito della sensibilità nelle due pezzi

Un falso mito da sfatare è che le ripartite siano “sorde”, ovvero poco sensibili alle tocche del pesce. Le moderne vette, spesso ibride o realizzate con sapienti mix di materiali, riescono a segnalare anche la mangiata di una mormora svogliata, pur mantenendo la schiena necessaria per scagliare un piombo a 150 metri da riva.

L’evoluzione delle telescopiche

Per anni considerate le sorelle povere delle ripartite, le canne telescopiche hanno fatto passi da gigante. Oggi rappresentano la scelta più intelligente per la maggior parte dei pescatori, specialmente per chi pratica la pesca amatoriale o non ha intenzione di imparare lanci complessi che richiedono rotazioni pericolose in spiagge affollate. Il grande vantaggio della telescopica è la praticità, ma non solo. I nuovi intrecci di carbonio a spirale incrociata hanno ridotto drasticamente il diametro dei fusti, rendendole più aerodinamiche – un dettaglio non da poco quando si deve “tagliare” il vento durante il lancio. Cercate modelli con un’azione di punta progressiva: devono essere abbastanza rigide da non oscillare troppo dopo il lancio (evitando parrucche sul mulinello), ma abbastanza dolci da accompagnare il piombo senza strappi violenti che potrebbero sbriciolare le esche più delicate.

I dettagli tecnici da non sottovalutare: dalla canna da pesca al porta mulinello

Al di là della tipologia costruttiva (due, tre pezzi o telescopica), ci sono componenti che influenzano direttamente la gittata.

  • Anellatura e spaziatura: L’attrito è il nemico numero uno della distanza. Anelli di qualità (come i Fuji Alconite o SiC) con pietra dura dissipano meglio il calore generato dallo sfregamento del filo. Inoltre, una scalatura degli anelli ben progettata “doma” le spire del filo in uscita dal mulinello, convogliandole verso la vetta con la minima resistenza possibile.
  • Il porta mulinello: Deve essere posizionato all’altezza giusta. Una leva troppo corta impedisce di spingere con la mano sinistra (per i destri), mentre una troppo lunga rende goffo il movimento. Molte canne di fascia alta offrono porta mulinelli regolabili o posizionati ergonomicamente in base alla lunghezza totale dell’attrezzo.
  • Vetta riportata vs Vetta tubolare: La vetta piena (solid tip) in carbonio offre una sensibilità straordinaria e aiuta a tenere il piombo fermo sul fondo anche con mare mosso, assecondando le onde. La vetta tubolare è più nervosa, più adatta a chi cerca la distanza pura e pesca con esche voluminose per predatori come la spigola o il serra.

Orientarsi in questo mare di specifiche tecniche può disorientare. Spesso è utile confrontare diversi brand e leggere le specifiche di carico dichiarate dai produttori. Per chi sta cercando di rinnovare il proprio arsenale, valutare l’ampia gamma di canne da pesca su pescaloccasione.it permette di confrontare schede tecniche dettagliate e trovare il modello che meglio si adatta al proprio stile di lancio, che sia esso un semplice above cast o un più tecnico side cast.

L’equilibrio del sistema pescante

Avere una canna capace di lanciare 200 grammi non serve a nulla se il resto dell’attrezzatura non è calibrato. Il surfcasting è un sistema. Per ottenere lanci lunghi, è fondamentale abbinare un mulinello di taglia grande (8000 o 10000) con bobina conica e a bassa capacità, imbobinato con fili sottili. L’uso di nylon dello 0.16 o 0.18 mm, abbinato a uno shock leader conico (uno spezzone di filo che parte sottile e finisce grosso per reggere lo strappo del lancio), riduce drasticamente l’attrito con l’aria e con gli anelli. Una canna performante abbinata a un filo troppo spesso verrà mortificata nelle sue prestazioni balistiche. Al contrario, un filo sottile su una canna scadente potrebbe non essere sufficiente a raggiungere la zona di pesca se l’attrezzo non ha la “schiena” per spingere.

Non solo attrezzatura: il gesto tecnico

Investire in tecnologia è fondamentale, ma non bisogna mai dimenticare che la canna è un amplificatore del movimento umano. Una canna telescopica di fascia media, nelle mani di un lanciatore che sa chiudere bene il movimento con le braccia ed eseguire un perfetto “blocco”, lancerà più lontano di una ripartita costosa in mano a chi spinge solo di spalla senza caricare il fusto. Quando valutate l’acquisto, siate onesti con voi stessi sulle vostre capacità attuali e su quanto tempo volete dedicare all’allenamento del lancio. Una tre pezzi con azione 100-200 grammi è spesso il miglior compromesso per il pescatore mediterraneo: gestibile, facile da caricare con un lancio laterale (side cast) e sufficientemente potente per affrontare le mareggiate nostrane. La ricerca della distanza non deve diventare un’ossessione che fa perdere di vista il piacere della pesca, ma avere l’attrezzo giusto che ci permette di arrivare “laddove osano le orate” regala una soddisfazione impagabile. Sentire il fusto che si piega, risponde e catapulta l’esca verso l’orizzonte è, in fin dei conti, la vera essenza di questa disciplina.

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