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LEGGERE... CI PIACE!

E sono stato gentile

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copertina del libro

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A dire il vero, ognuno dovrebbe fare ciò che gli riesce meglio. Non possiamo essere tuttologi. Quindi chi gioca a calcio, e lo sa fare bene, dovrebbe continuare a spiegare a chi vuole imparare l’arte della difesa, le tecniche necessarie per strappare la maglia a uno dei più funambolici pedatori brasiliani, senza farsi ammonire. In tribuna stampa ci sono giornalisti. Si presume che sappiano fare il loro lavoro, così come valenti chef siano in grado di cucinare i famosi Wellington e non si intestardiscano nel volerci far credere che una papatina con quattro pezzi di pomodoro sopra sia da classificarsi nella nouvelle cousine. Peggio ancora se il barbuto plongeur è in ammollo manco fosse l’omino bianco.

Insomma, siamo giunti ad un punto della nostra fragile esistenza dove nessuno è più in grado di rimanere entro i confini di quello che dovrebbe essere il proprio ruolo. Anche i difensori adesso risalgono lungo la fascia. Non sono più né carne né pesce. Li chiamano esterni. Così come i giornalisti scrivono di ogni cosa. Non ci sono più gli inviati. Ci sono i free lance… e qui mi fermo, altrimenti si finisce con il diventare prolissi e non analitici. Il libro sul comodino è quello di Claudio Gentile. Un grande. Una delle colonne della nostra Nazionale di Calcio. Quella che fece sperticare le mani al presidente con la pipa. Quella dell’urlo di Tardelli (amico per la pelle di Gentile). Quella del Pablito e di noi che corriamo in piazza e urliamo campioni del mondo. Il romanzo di una vita sarebbe davvero interessante, se fosse stato scritto bene. Invece sembra un compitino da terza elementare. Aggettivi messi al punto giusto e una sintassi che serve per strappare la sufficenza. A Gentile si può perdonare tutto. Lui ammonito solo una volta nella vita (e ingiustamente, va detto) lui così ancorato a principi che oggi paiono dimenticati. Lui che muoveva la difesa come fosse un alfiere, tagliando diagonali che nemmeno i grandi salumieri. Claudio Gentile è una delle undici righe di una poesia che tutti abbiamo imparato a memoria. Quella che iniziava con Zoff, Cabrini..

Adesso si cimenta in questa sua prima opera letteraria. In Italia scrivono tutti. In troppi. Ma la sua storia è bella. Ancora attuale. È talmente carica di sogni che ci fa vedere un bambinone con i baffi, con il suo completino azzurro, mentre crede di essere ancora all’oratorio e non davanti ai tedeschi. Una storia che per noi ragazzi degli anni ottanta è ricca di fascino. Se fosse stata scritta meglio l’avremmo apprezzata ancora di più. Non fa nulla. Chi non ama i gialli e deve comunque portarsi in spiaggia qualche cosa da leggere, provi con i ricordi di uno dei pù grandi difensori della storia del calcio.

A cura di William Amighetti

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