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BERGAMO

“Chei del Formai” cultura e tradizione popolari: Bergamo e l’UNESCO valorizzano la montagna

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Valorizzare la montagna: con il riconoscimento dell’UNESCO come città creativa Bergamo punta a preservare conoscenze e pratiche tradizionali attraverso soluzioni innovative ed economicamente sostenibili.

Per i Bergamaschi che maneggiano i social networks come distratto passatempo, c’è la pagina Instagram “Bergamosay” che offre argute letture di modi di dire dialettali particolarmente radicati. Non manca “Chèl del formai”, definito “figura mitologica destinata a punirti per un cattivo comportamento”.

La goliardica traduzione inglese proposta dalla pagina ha un fondo di verità che riconduce al riconoscimento di Bergamo quale Città Creativa Unesco, ottenuto a Parigi in virtú del progetto Cheese Valleys, destinato ad esaltare la cultura e la produzione casearia delle montagne orobiche, non soltanto bergamasche. Sabato 9 novembre se ne è parlato (ahimè fra pochi intimi) nella Sala Civica di Porta S.Agostino, nell’ambito del Festival del Pastoralismo.

Attorno al tavolo c’erano Roberto Amaddeo, consigliere del Comune di Bergamo e ristoratore d’alto livello, Renato Ferlinghetti dell’Università di Bergamo, Francesco Maroni dell’Associazione San Matteo “Le Tre Signorie” e Roberta Rotondo di ITKIUS (International Traditional Knowledge Institute US). A guidare la discussione con utili approfondimenti di carattere storico ed esperienziale c’era Michele Corti, docente dell’Università di Milano e presidente del Festival del Pastoralismo.

L’incontro ha aperto un piccolo grande libro dei sogni (ad occhi assolutamente aperti) per la Bergamo del nuovo millennio ed ha avuto il merito di fondare convinzioni e prospettive non su cervellotici algoritmi da ateneo, ma su cultura e tradizione popolari che possono davvero fare di Bergamo “una destinazione alternativa e complementare per i grandi flussi turistici che gravitano, per esempio, su Milano e Venezia”, come ha detto Amaddeo.

“La chiave del progetto che ha portato al riconoscimento Unesco, frutto di un lavoro di quindici anni, – hanno spiegato i promotori –  è un “protocollo di intesa” ricco di soluzioni innovative per mantenere la montagna viva e per fornire prospettive economicamente sostenibili. Creare nuova economia preservando conoscenze e pratiche tradizionali, paesaggi, patrimoni culturali materiali e immateriali è la sfida appassionante che dovrà vedere città e valli, pianura e montagna, territori bergamaschi, lecchesi, valtellinesi perseguire uniti l’obiettivo di valorizzare il ruolo di città e territori creativi, della partecipazione alla rete mondiale delle città creative, della visibilità che tutto ciò può assicurare un volano di sviluppo”.

Particolarmente incisivi gli interventi di Francesco Maroni e Roberto Amaddeo, all’insegna di poca grammatica e tanta, tanta pratica, di qualità.

“Lavoriamo ogni giorno – ha detto Maroni – con piccoli operatori agricoli. Ne viviamo ogni giorno le difficoltà al limite dell’eroico, ma abbiamo anche un profondo rispetto per la cultura, di cui sono custodi, che rappresentano e di cui siamo tutti direttamente responsabili. Idealmente la polenta taragna fonde in sè questi valori, unendo mais antichi e formaggi d’alpeggio e diventa biglietto da visita gustoso e percepibile per i turisti. Il riconoscimento Unesco punta a muovere questo sistema, non è una semplice medaglia al valore. Una stima verificata ipotizza per l’asset una possibile crescita fra l’11 ed il 14%. Deve esserci uno sforzo di sistema, complessivo e unitario, che non sia di sola comunicazione. Ci vogliono consapevolezza e azione, per trasformare in virtù ció che oggi è sacrificio e pura passione”.

Gli interventi dei relatori, in particolare di Roberto Amaddeo, hanno sottolineato la necessità di ripensare la Grande Bergamo, che divrà mettere in relazione concreta Città Alta, la Carrara e la Gamec, l’Atalanta, i laghi e le terme, ma soprattutto, la montagna.

“Bergamo negli anni – ha detto Amaddeo in Bergamosay style –  era diventata un poco fighetta. Abbiamo bisogno di tornare al senso ed alla pratica delle cose. Con il Festival del Pastoralismo abbiamo fatto passare pecore, capre e mucche in città: un segno che vale più di mille tavoli. Oggi il turismo non è solo guardare monumenti. I turisti per alcuni giorni “cambiano città” e voglio vivere,  o meglio far parte, di storia e tradizione locale. La strategia turistica deve andare verso la montagna,  perchè questo è attrattivo e rappresenta uno stimolo sostenibile per i territori, senza presupporre consumo di suolo. A livello di comunicazione dobbiamo imparare dai francesi, che hanno esaltato champagne e formaggi. Bergamo ha eccellenze che nulla hanno da invidiare, anzi”.

L’abbiamo detto all’inizio: con il riconoscimento UNESCO, i francesi (e non solo) hanno trovato “Chei del Formai”. Viva Bergamo!

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