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Cronaca

Sindacati uniti: per le RSA serve un tavolo di confronto con ATS e Regione Lombardia

Sindacati uniti: per le RSA serve un tavolo di confronto con ATS e Regione Lombardia.

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CGIL CISL UIL di Bergamo hanno incontrato, presso la RSA “Villa Serena” di Brembate, i referenti delle associazioni di gestione delle RSA bergamasche, Cesare Maffeis, Fabrizio Ondei, Barbara Manzoni e Edoardo Manzoni. 

Il tema è stato la riapertura delle RSA e le difficoltà imposte dalla delibera di Regione Lombardia in tema di riapertura in sicurezza che risultano molto complesse, di dubbio riscontro riguardo alle responsabilità connesse.

I gestori pongono in evidenza i costi che gravano sulle strutture per queste nuove procedure che si aggiungono a quelli già assunti durante l’emergenza e che non vedono ancora alcun riconoscimento da parte di Regione Lombardia.

Quanto dolorosamente verificatosi in Lombardia all’interno delle residenze per gli anziani in questi terribili mesi di pandemia impone una profonda riflessione sul significato e sul ruolo delle RSA nel contesto dei servizi socio-sanitari pre e post Covid.

I sindacati: errori durante l’emergenza

Indubbiamente la tragedia che le Rsa hanno sofferto deriva in parte da errori di governance nel periodo dell’emergenza, a misure che sono in questo momento oggetto di indagini della magistratura e che hanno determinato incalcolabili ferite e sofferenza a chi in prima persona, ospite, parente o lavoratore della struttura, ha patito il dramma del contagio.

Crediamo però che “l’emergenza nell’emergenza” abbia radici profonde che, se pur aggravate dalle ulteriori difficoltà di questi mesi, rimandano al vizio di fondo contenuto nel modello assistenziale di residenzialità funzionale, nella logica imperante di Regione Lombardia, allo schema “ospedalocentrico”.

Anche il settore delle Rsa ha registrato in questi ultimi anni una  costante sollecitazione verso una progressiva sanitarizzazione delle prestazioni e delle strutture, con le antiche “case di riposo” sempre più simili a luoghi di cura per persone molto anziane e fragili sul piano delle funzioni sanitarie.

Si è determinato di fatto una forzata richiesta per un livello di specializzazione non accompagnata da un adeguato riconoscimento economico (in Lombardia la remunerazione regionale è molto lontana dalla quota prevista dalla normativa nazionale) per sostenere gli impegnativi investimenti sulle attrezzature sanitarie/riabilitative e i costi della crescente qualificazione del personale.

Da ciò ne deriva la grande fatica delle strutture per gestire un’economia di sistema che, a fronte di costanti aumenti dei costi e del mancato adeguamento della quota sanitaria, non gravasse completamente sull’onerosità delle rette con conseguenze e ricadute che troppo spesso però si sono scaricate sui costi del personale, sui processi di terziarizzazione incontrollati, sul minutaggio, sulla qualità assistenziale.

Assistiamo così allo stravolgimento del ruolo e della mission originaria delle Rsa non più intese come opportunità di “accoglienza” ampia a disposizione del  territorio, bensì come componente strutturale di un sistema concentrato sulla sola non autosufficienza grave, senza neppure gli adeguati supporti finanziari, tecnici e politici necessari per sostenere  la richiesta di  funzioni essenziali equiparabili ormai all’assistenza sanitaria.

E il sistema, nella sua perdurante debolezza intrinseca favorita anche da errori e sottovalutazioni nel governo regionale, di fronte ad una emergenza improvvisa e travolgente entra in “default” provocando gli infiniti drammi che la cronaca di questi mesi ha purtroppo dolorosamente testimoniato in una quotidianità angosciosa documentata dai terribili numeri delle vittime all’interno delle case di riposo nonchè dal dramma della solitudine degli ospiti, dei familiari, dei lavoratori.

La malattia delle Rsa riporta e riflette le criticità mostrate dal sistema sanitario lombardo di fronte all’emergenza aggravato dallo sfilacciamento del legame organico con il territorio che ha comportato una progressiva distanza dalla funzione “sociale” originaria: la pandemia ha semplicemente ingigantito i limiti strutturali e organizzativi delle Rsa, fin troppo evidenti già prima dell’emergenza, troppo indirizzate a rispondere ad un sistema monopolizzato da una attenzione ospedalocentrica.

Il futuro e le prospettive della residenzialità devono pertanto ripartire non solo da maggiori risorse dedicate, ma principalmente dal riposizionamento del loro ruolo nel contesto dei servizi assistenziali, riducendo in primo luogo lo strappo tra sociale e sanitario, ma pure investendo su comunità e territorio e dando senso e nuova vitalità alla prevenzione. 

Inoltre tutelare i posti di lavoro e la sicurezza del personale, potenziare gli organici per rapporto agli standard di servizio da garantire e sviluppare la formazione “specialistica” degli operatori.

Tra le lezioni scaturite dal vissuto di questi mesi spiccano in particolare gli interventi fondati sulla relazione e sulla vicinanza; con questo orientamento di senso (che è in primo luogo un riconoscimento di valori) le Rsa possono entrare in gioco come agenti del territorio e divenire centrali all’interno della filiera dei servizi territoriali in quanto luogo”aperto”per un’ampia gamma di servizi diretti alla comunità di appartenenza, con forte propensione alla domiciliarità e alla prevenzione.

Il Sindacato Confederale Bergamasco da atto e assume come proprie le difficoltà delle RSA e dei lavoratori che con coscienza, professionalità e responsabilità hanno svolto un grande lavoro per le persone fragile e che oggi si trovano a pagare un prezzo ingrato.

Tavolo di confronto anche con ATS e Regione Lombardia

Per CGIL CISL e UIL di Bergamo, sono 2 i punti su cui aprire un tavolo di confronto anche con ATS e Regione Lombardia: il primo è la stabilizzazione economica delle Strutture rispetto ai costi insorti compreso quelli derivanti dalle conseguenze dell’emergenza, così come per il sistema economico.

Il secondo è ciò che noi crediamo fondamentale: intervenire per cambiare un sistema che nella visione e nell’immaginario collettivo, ancor più dopo le vicende di questi mesi, considera le Rsa come grandi “hospice” o dipendenze ospedaliere, per rivitalizzarle invece in centri dove la cura del benessere non si configura nell’esclusiva logica della patologia, ma si realizza in un’offerta assistenziale rivolta al pieno sostegno dell’autonomia della persona considerata come titolare di diritti e attore sociale.

Pensiamo alle Rsa del futuro come presidio territoriale, un luogo capace di offrire, accanto ad una residenzialità anche diversificata, servizi di varia tipologia quali centri diurni, sostegno ai familiari, servizi domiciliari, sostegno al lavoro privato di cura, attivazione di politiche per l’invecchiamento attivo e di orientamento…servizi con forti legami con l’ambiente di prossimità e in raccordo con la filiera del socio-sanitario.

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