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Cronaca

La povertà prima e dopo il Covid letta nei dati della CGIL

La povertà prima e dopo il Covid: la crisi economica attraverso i dati della CGIL di Bergamo. Più svantaggiate ancora le Valli.

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Il disagio economico e sociale nella provincia di Bergamo presentava, prima del Covid, dimensioni non trascurabili quantificabili in circa 60.000 di poveri “assoluti”, cioè più del 5% dei residenti (per poveri “assoluti” si intendono i soggetti  che non possono acquistare quell’insieme di beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile). 

E’ evidente come lo shock sanitario, la chiusura di numerose piccole imprese artigiane, di molti lavori autonomi, la perdita economica del lavoro dipendente (cassa integrazione) quando non addirittura la perdita del lavoro (ad aprile il saldo tra avviamenti e cessazioni era di quasi settemila posti in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), l’isolamento coatto delle persone anziane dovuti all’emergenza Coronavirus non possono che aver peggiorato significativamente questi livelli di vulnerabilità.

Ne sanno qualcosa i Caf della CGIL, il patronato Inca, Nidil (la categoria che si occupa di collaboratori e partite iva) che hanno gestito la partita dei bonus, del reddito e della pensione di cittadinanza, del reddito d’emergenza, così come i Comuni, gli Ambiti, le associazioni di volontariato laiche e religiose che hanno visto lievitare macroscopicamente le domande di aiuto.

I numeri della CGIL Bergamo

“Dall’osservatorio della CGIL di Bergamo è evidente la difficoltà che una parte della cittadinanza sta attraversando – spiega Gianni Peracchi, segretario generale CGIL Bergamo -. Solo ai nostri sportelli, al 9 luglio, abbiamo: presentato 640 domande di reddito di emergenza; presentato 353 domande per bonus colf e fornito assistenza per la compilazione di 581 domande per il bonus di 600 euro destinato ad autonomie partite IVA”.

Da quando è stato istituito a prima delle emergenza Covid 19 circa 6.400 famiglie e 14.700 persone hanno ottenuto il reddito di cittadinanza con l’assistenza del Caf CGIL. A questa platea, tra il 1 marzo e il 9 luglio 2020, si sono aggiunte altre 320 famiglie.

Per quanto riguarda l’assistenza ai figli minori sono state presentate tramite i nostri operatori 881 domande di congedo parentale Covid-19 e 252 domande per il bonus babysitter/CRE.

Il dato sulla povertà ha seguito una dinamica crescente negli ultimi anni e si è diffuso anche in gruppi sociali tradizionalmente considerati al riparo dal rischio, assumendo caratteri di trasversalità e imprevedibilità. 

Più povertà nelle Valli

“Gli operatori dei servizi sociali locali e delle associazioni che si sono prodigate per aiutare chi era più in difficoltà nei mesi dell’emergenza – continua Peracchi – hanno confermato che il loro bacino di utenza, già in crescita, è letteralmente esploso durante la pandemia. Nelle valli e nei piccoli comuni le condizioni economiche e il tenore di vita sono inferiori a quelli che caratterizzano la Grande Bergamo e le altre aree urbanizzate. Qui, invece, è più pressante il tema della povertà degli anziani, che interessa prevalentemente le donne e rappresenta, spesso, soltanto uno degli elementi di una vulnerabilità più complessa e multidimensionale, non soltanto di natura economica, che investe anche la sfera della salute e quella delle relazioni. Nelle aree urbane si osserva una maggiore individualizzazione degli stili di vita che accresce la presenza di nuclei a rischio di disagio, come gli anziani soli e i monogenitori, i quali spesso non dispongono di quelli ammortizzatori naturali garantiti dal tessuto sociale più coeso delle zone rurali.

In città di Bergamo le famiglie unipersonali nel 2020 pesano per il 46% (nel 2008 per il 42,7%); le famiglie monogenitoriali nel 2017 pesavano per il 13,6% (nel 2008 per l’11,9%); le famiglie di anziani soli nel 2019 pesavano per il 17,3% (nel 2008 per il 16,4%).

Lavoro povero e disagio familiare

“La crescita della povertà è spiegata in gran parte dall’aumento dell’incidenza del disagio nelle famiglie dei lavoratori – spiega Peracchi – e, più in generale, delle persone in età da lavoro. Inoltre il lavoro in molti casi ha perso la sua funzione di assicurazione contro il rischio di impoverimento. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad una stagnazione dei redditi da lavoro dipendente e i lavoratori autonomi sono andati incontro ad una decimazione. Il tema del lavoro povero, soprattutto per le donne e per i giovani, assume particolare rilevanza nella nostra provincia dove il livello delle retribuzioni era già basso e il 10% dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva un salario che non superava gli 8 euro e mezzo lordi all’ora prima del Covid”. 

“Sull’aumento dei casi di indigenza – conclude Peracchi – agiscono anche fenomeni di ricomposizione della domanda, che vede un aumento dei soggetti multiproblematici e dei genitori soli. La capacità dei servizi di intercettare e gestire efficacemente il disagio sociale è attualmente minata dalla carenza di risorse (che penalizza soprattutto le aree interne e i piccoli comuni) e da modalità di programmazione poco innovative, che richiederebbero di essere riformate. Soprattutto nella direzione di una maggiore cooperazione tra istituzioni e rappresentanze sociali, di un superamento della logica di intervento per grandi categorie che ostacola la presa in carico integrata di un disagio che è spesso multidimensionale. Presa in carico che dovrebbe essere finalizzata, almeno nella maggior parte dei casi, a mettere in condizioni i “vecchi e i nuovi poveri” ad inserirsi nel mondo del lavoro per poter autodeterminarsi”.

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