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SE CHIUDO GLI OCCHI

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Quando nel 1929, Alexander Fleming isolò il principio base per la creazione della penicillina, l’umanità si trovava a far fronte a numerosi problemi. Le ferite del corpo e quelle dell’animo non avevano ancora trovato rimedio. La moria causata dalle infezione subì un brusco rallentamento grazie alle muffe miracolose. L’avanzata del deserto culturale invece non smise di sottrarre spazio ai terreni fertili e continuava lenta e inesorabile. Ancora oggi non è possibile curare l’animo ferito applicando il principio di Fleming. Freud aveva iniziato qualche anno prima a prendersi cura di sentimenti che parevano cani sciolti, incapaci di riconoscere il fischio del padrone e di tornare quindi a casa. Fece però più proseliti la farmacopea e ancora una volta il disastro sentimentale rimase pericolosamente in bilico sul bordo del baratro.

La lettura venne identificata come possibile rimedio. Servivano e servono, oggi ancora di più, visto che la zona sahariana, intesa come sottrazione della fertilità culturale si sta ancora una volta espandendo. Servono le parole taumaturgiche. Servono sentimenti da prendere come rimedi omeopatici. Poche gocce, tutti i giorni. Non importa se prima, dopo o durante i pasti. Servono. Punto e basta e servono libri che diventino galenici, che racchiudano fra le pagine aggettivi, tempi verbali dimenticati, parole buone concatenate. 

Il nuovo romanzo di Simona Sparaco “Se chiudo gli occhi” è un medicinale con effetto collaterale introspettivo. Porta il lettore a riconsiderare quello che è il primo sentimento che prova nella propria esistenza. L’amore verso i propri genitori. Conflittuale, certo, perché in continuo bilanciamento con l’opposizione, con l’ostinazione, con la voglia di ribellione, ma pur sempre ombelicale. Sentimento a cui nessun amano chirurgica può amputare il legame. Simona Sparaco scrive con penna e calamaio. Mostra amore per ogni parola, dettaglio o dialogo che può sembrare minimalista mentre invece nasconde con abilità la forza di un intero cantico. Il romanzo parla di un viaggio.

La necessità che i due protagonisti hanno di confrontarsi senza dover rimanere fermi immobili su punti che potrebbero dare vantaggio all’uno o all’altro. L’impulso ancestrale di dover far emigrare le proprie rabbie sopite. Metteranno nel baule dell’auto una borsa a testa con poche cose, mentre invece, sul sedile posteriore lasceranno salire tutti i sentimenti, rabbie ed angosce che da troppo tempo non escono da casa.  Il rapporto padre e figlia venne analizzato anche da Freud ma i risultati furono abbastanza deficitari. La narrazione di Simona Sparaco risulta invece efficace e taumaturgica. Mette a nudo i due piani contrapposti del legame che si genera fra genitore e figlio.

Noi che siamo stati figli e che ora, continuando ad esserlo, viviamo anche nel ruolo di padri, che cosa realmente conosciamo della complessità sentimentale di colui che ha contribuito alla nostra venuta al mondo? Il rapporto che non ha come fine ultimo il traguardo dell’amore da per scontato troppe cose. La lettura di “Se chiudo gli occhi” aiuta a comprendere la fragilità che imbastisce il tessuto delle relazioni sentimentali famigliari. Noi siamo quello che siamo stati ancora prima di essere consapevolmente noi. Da tempo non mi capitava di leggere un romanzo così intenso e incredibilmente vero.

 

Se chiudo gli occhi di Simona Sparaco ed. Giunti

 

Per una buona lettura consiglio di salire in uno dei rifugi del Parco Nazionale dei monti Sibillini. Cenate lasciandovi tentare da una zuppa di patate, fagiolini e granoturco di Astorara di Montegallo, oppure rose con salsa di Zafferano. Oltre alla varietà di vini locali, consiglio vivamente l’abbinamento con una pinta di Nimbus, o detta anche Manico Rosso, birra artigianale di pregio e ricca di sorprese. Pernottate infilandovi sotto a pesanti coperte, con la consapevolezza che ogni domani è possibile. Basta solo credere nell’amore.

 

A cura di Wiliam Amighetti

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