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Cronaca

Sicurezza sul lavoro: a oltre due anni dalla pandemia si riparte da Nembro

Sicurezza sul lavoro: a oltre due anni dalla pandemia si riparte da Nembro con l’iniziativa dei sindacati che pone l’attenzione anche sul long Covid

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A distanza di due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, CGIL, CISL e UIL di Bergamo si riuniscono a Nembro, cittadina simbolo delle prime fasi della crisi da Covid-19. L’occasione è offerta dalla quinta Giornata territoriale per la sicurezza sul lavoro in programma venerdì 16 settembre. 

L’incontro, che si terrà al Modernissimo di Nembro (ore 9.30-13.30), analizzerà l’impatto del Covid 19 sul mondo del lavoro bergamasco e proverà a intercettare gli effetti attuali del Long Covid fra i lavoratori. Al convegno prenderanno parte medici e sindacalisti, ma anche i responsabili di Ats Bergamo e Inail e alcuni Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza dei settori più esposti al rischio contagio.

Sicurezza sul lavoro: giornata a Nembro. Il programma

Dopo i saluti del sindaco di Nembro, Gianfranco Ravasio, introdurrà i lavori Angelo Chiari, segretario della CGIL di Bergamo e per questa sigla sindacale responsabile delle politiche su salute e sicurezza. Interverranno a seguire Ariela Benigni, coordinatrice delle ricerche all’Istituto Mario Negri, Giuseppina Zottola, direttrice U.O.C. Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Ats di Bergamo, Virginio Villanova, direttore della sede di Bergamo dell’Inail e Matteo Salmoiraghi, della Medicina del Lavoro Asst “Papa Giovanni XXIII”.

Alcuni Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza aziendali e territoriali riferiranno, poi, delle loro esperienze dirette, nei lunghi mesi alle prese con la pandemia. Le conclusioni saranno affidate ad Angelo Colombini, segretario della CISL nazionale. Coordinerà l’incontro Claudia Dabbene, segretaria di UIL Bergamo.

Due testimonianze

Quali sono i nodi più critici che occorre affrontare per garantire davvero più sicurezza sul posto di lavoro? Provano a rispondere, partendo dalla loro esperienza diretta, due lavoratori che ricoprono anche il ruolo di delegati sindacali nelle aziende in cui sono impiegati.

La prima testimonianza è quella di Enrico Molteni, operatore socio sanitario all’ASST Bergamo Ovest di Treviglio, da quasi dieci anni al lavoro nella sanità, prima privata e ora pubblica.


“La pandemia ha rappresentato una sorta di stress test per noi lavoratori delle strutture sanitarie. A Bergamo, ma in verità ovunque in Italia, le aziende che non hanno analizzato in modo opportuno il rischio da stress lavoro-correlato oggi stanno assistendo a una fuga di personale. Ci si allontana da realtà dove non sono stati adottati opportuni sistemi di gestione delle criticità nei carichi di lavoro. Anche per questo ora ci troviamo ad affrontare una grave carenza di personale. È mancata una gestione congrua dei turni, delle ferie, si sono prese come diktat le linee della Regione (ad esempio la necessità di raggiungere la quota del 110% delle prestazioni rispetto ai livelli del 2019) senza però verificare sul campo cosa si potesse davvero fare, in base al personale a disposizione. Il ricorso alle cosiddette prestazioni aggiuntive (ad esempio al fatto di monetizzare i giorni di riposo, da utilizzare per coprire la carenza di personale) ha avuto ovviamente conseguenze sui carichi e sullo stress.  Dunque sulla salute dei lavoratori”.

In sanità viviamo poi un altro rischio, per certi aspetti nuovo, in parte anch’esso legato alla pandemia: quello di aggressioni e minacce subite in corsia. In questi due anni abbiamo avuto difficoltà ad erogare le prestazioni classiche in tempi congrui perché il personale era impegnato nella somministrazione di vaccini o nei reparti Covid. I tempi di attesa si sono allungati anche nei Pronto soccorso. Inoltre il virus ha reso più difficile il rapporto tra paziente, medici e famiglie (che non potevano accedere alle strutture). Tutti questi elementi hanno contribuito ad aumentare disagi e proteste, sfociati sempre più di frequente in aggressioni verbali, ma anche fisiche, minacce, urla, insomma in episodi che già esistevano prima, ma che erano solo sporadici e legati a specifiche patologie dei pazienti, come quelle psichiatriche. Ben vengano i decreti regionali, anche recenti, sul tema della prevenzione delle aggressioni e sulla riduzione dei tempi di attesa. I provvedimenti, però, resteranno solo sulla carta se non si agisce attraverso l’aumento di personale e una diversa, più attenta, organizzazione del lavoro”.

La seconda voce che abbiamo raccolto è quella di Carmine Andrea Leo che ha un contratto edile ma fa un mestiere che non si svolge in cantiere, bensì in autostrada. È parte di una squadra di pronto intervento che entra in azione in caso di incidenti. Per la società Argentea si occupa di posizionare la segnaletica e curare la gestione della viabilità in caso di sinistri. Non affronta il tema Covid, ma quello della sicurezza sul lavoro più in generale.

“La mia vita è letteralmente in mano a chi guida, agli automobilisti che sfrecciano accanto a me e ai miei colleghi quando operiamo. In otto anni sulle autostrade ho visto ogni genere di leggerezza da parte di chi è al volante, soprattutto distratto  dall’uso del telefono e dalla velocità. Mi è capitato, ritirando della segnaletica, di vedere  arrivare un mezzo il cui conducente, occhi sul cellulare, solo all’ultimo secondo ha cambiato corsia. Consapevoli del margine di rischio che per noi dipende dall’attenzione degli automobilisti, noi cerchiamo di agire sulle misure e sugli strumenti in nostro possesso. Prestiamo la massima attenzione alle misure di sicurezza, alle distanze da mantenere tra i cartelli che posizioniamo. Abbiamo un protocollo interno dettagliato, ed esistono decreti governativi con le norme da rispettare. Peccato che chi li ha scritti era di certo seduto a una scrivania, e non nel mezzo di una carreggiata autostradale. Forse sarebbe opportuno che chi definisce le modalità di lavoro comunichi con chi, poi, quei regolamenti deve metterli in pratica. Per fare un esempio, un’indicazione vincolante come quella di non fare soste durante il posizionamento di cartelli nella corsia centrale è impossibile da rispettare, visto che con il traffico autostradale andare e tornare da un lato all’altro della carreggiata non è proprio fattibile, a meno di non finire investiti. È evidente che non esiste, là in mezzo, un passaggio pedonale. È poco realizzabile anche l’indicazione di portare da un punto a un altro delle corsie autostradali non più di un cartello stradale per volta. Più movimenti sulla carreggiata, cioè più attraversamenti, per noi significa solo più i rischi. Si consulti chi lavora, prima di scrivere decreti e regolamenti”.

“Tengo anche a sottolineare che in generale, in tutti i posti di lavoro, anche in quelli dove mi è capitato di lavorare in passato, se non ci sono controlli, molte misure restano vane e il peso della loro applicazione– spesso nel disinteresse delle aziende –  grava solo sull’operaio. Anche affrontare la questione del salariopotrebbe aiutare: di solito si incentivano i manager con bonus e lavori a obiettivi, ma perché non farlo anche con gruppi di operai che si siano distinti per aver creato ambienti di lavoro particolarmente sicuri?”.

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