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Cronaca

Mancata zona rossa, ospedale di Alzano e piano pandemico: chi sono gli indagati dai locali a livello nazionale

I pm del pool del Procuratore aggiunto Maria Cristina Rota contestano epidemia e omicidio colposi a personalità di diversi piani

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Che le responsabilità nella gestione della primissima fase della pandemia in Italia, e più nello specifico in Lombardia e in provincia di Bergamo, fossero trasversali, era risultato evidente grazie al lavoro d’inchiesta che in questi tre anni ha portato a conoscenza dell’opinione pubblica fatti e atti che documentavano le decisioni o mancate decisioni degli enti preposti a tutelare la salute pubblica. Oggi sappiamo che, oltre alla memoria storica e alle inchieste giornalistiche, proprio in quei giorni in cui 3 anni fa il territorio della Val Seriana non veniva tutelato con adeguate misure di contenimento, si è espressa anche la magistratura chiudendo la mastodontica indagine Covid con il rinvio a giudizio di 19 persone.

I pm del pool del Procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, nell’indagine condotta con la Guardia di finanza che analizzato migliaia di documenti e file digitali, contestano epidemia e omicidio colposi a personalità di diversi piani: da quello locale dell’ospedale di Alzano Lombardo, passando per Ats Bergamo, fino a Regione Lombardia, Cts, Iss, Protezione Civile, Ministero della Salute e Governo.

Nella nota della procura di Bergamo relativa alla chiusura delle indagini preliminari si legge che le indagini condotte dalla Guardia di finanza di Bergamo sono state articolate: sono stati sequestrati o acquisiti migliaia di documenti, di mail e di chat telefoniche, e sono state ascoltate centinaia di persone informate sui fatti.

Gli indagati nell’inchiesta Covid di Bergamo

Indagati l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente appena riconfermato della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera, rimasto fuori dal Consiglio regionale. Indagati inoltre diversi dirigenti chiave del ministero della Salute tra cui: il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Cts Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.

L’indagine è composta da due grandi capi di imputazione. Il primo riguarda la mancata applicazione del “Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale”, che, seppure non aggiornato dal 2006, avrebbe imposto una serie di disposizioni fin dal 5 gennaio 2020, ovvero da quando l’Oms diramò l’alert sulle polmoniti sconosciute in Cina raccomandando agli Stati proprio l’attuazione delle misure antinfluenzali. Per la mancata attuazione del Piano pandemico sono indagati, con le ipotesi di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo e rifiuto di atti d’ufficio: l’ex capo della Prevenzione della Salute Claudio D’Amario che doveva attivare le misure, Brusaferro che per i pm avrebbe proposto al Cts di accantonare il Piano, Borrelli che dal 30 gennaio era commissario all’emergenza, più Speranza, per il quale la legge prevede lil Tribunale dei ministri. L’ex assessore Gallera e l’allora direttore Welfare Luigi Cajazzo rispondono di analoghe contestazioni per la mancata attuazione del Piano pandemico lombardo.

L’altro grande capo d’accusa riguarda invece la mancata istituzione della zona rossa nella Val Seriana, in particolare ad Alzano e a Nembro, quella che passerà alla storia come la zona più colpita d’Italia: le ipotesi di reato sono epidemia colposa e omicidio colposo. Gli indagati sono Conte e Fontana insieme a diversi membri del primo Cts: ancora Brusaferro e D’Amario e poi Miozzo, Locatelli, l’ex segretario generale della Salute Giuseppe Ruocco, il responsabile delle Malattie infettive Francesco Maraglino, l’ex direttore della Programmazione sanitaria Andrea Urbani, l’allora direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito, il direttore della Sanità di frontiera Mauro Dionisio. Tutte persone che dal 26 febbraio sapevano che i contagi in quelle aree correvano con numeri simili a quelli (e proiezioni peggiori) di territori già in lockdown, come emergeva dalle tabelle dell’epidemiologo Stefano Merler della Fondazione Kessler in cui si indicava un R0 vicino a 2, se non superiore.

Secondo la perizia del consulente della Procura Andrea Crisanti, oggi senatore Pd, redatta con il medico legale Ernesto D’Aloja e l’ex direttore della Asl di Pavia Daniele Donati, con un’ipotetica zona rossa dal 27 febbraio nella Bergamasca si sarebbero potuti verificare fino a 4.148 decessi in meno, pari al 67,5 % dell’eccesso di mortalità di quei mesi (oltre 6.000). Con una chiusura al 3 marzo si sarebbero evitati 2.659 decessi, il 43 %. Una misura che come sappiamo, non venne mai istituita consentendo al virus di dilagare fuori controllo in tutto il resto del territorio. Mancate misure che furono il preambolo dell’immagine simbolo del 18 marzo 2020 con i camion militare che portano i corpi accatastati senza più bare fuori dalla città di Bergamo.

La Procura di Bergamo ha riscontrato responsabilità anche per i vertici delle aziende sanitarie di Bergamo e di Bergamo est, relativamente alla gestione dell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano nei cui reparti di medicina già il 23 febbraio vennero scoperti due pazienti contagiati, Ernesto Ravelli e Alfredo Criserà. Diversi gli operatori e pazienti infettati con due dipendenti deceduti. Sono indagati per epidemia colposa e omicidio colposo i dirigenti dell’Asst Bergamo est Francesco Locati e Roberto Cosentina, insieme al direttore sanitario Giuseppe Marzulli che disse sempre di non aver condiviso la scelta di riaprire la struttura, chiusa per alcune ore dopo la scoperta dei contagi. Locati e Cosentina rispondono anche di falsità ideologica e materiale sull’asserita “sanificazione” dell’ospedale. Indagato pure il direttore dell’Ats Bergamo Massimo Giupponi.

Ora gli indagati, dalla notifica dell’avviso conclusione indagine hanno 20 giorni per nominare un difensore (se non l’avessero già fatto), acquisire gli atti, presentare le loro memorie difensive e chiedere eventualmente l’interrogatorio da parte dei magistrati. In un secondo momento si saprà quali saranno gli indagati rinviati a giudizio e se partirà la fase processuale.

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