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SETTE DIAVOLI

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È intrinseco alla modernizzazione il fatto di perdere elementi che costituivano il nostro passato. Per tale motivo abbiamo inventato i musei. Affinché la memoria possa ricordare quelle che sono le nostre origini. Il problema non è stato risolto a livello olfattivo. Anni fa, se si camminava nei vicoli dei nostri paesi, si percepivano odori nitidi, divisi gli uni dagli altri, prepotenti e desiderosi di farsi annusare singolarmente. Ti arrivavano zaffate sottovento che provenivano da stalle o pollai, alcuni di questi tragicomicamente domestici, il profumo del bucato appena steso, l’odore di verdure messe a bollire alle prime luci dell’alba. Sapevi che era domenica non solo per il fatto che ti facevano indossare il vestito buono, quello per andare alla messa, ma perché dalle case usciva il profumo dell’arrosto.

Anche il Carmine non si sottraeva a ciò. Respiravi l’acre della vita grama che gli abitanti del quartiere più malfamato di Brescia replicavano ogni giorno. C’era sudore misto alla paura e c’era l’odore della rabbia, maldestramente impastato a quello dei sogni che non si realizzavano mai. Oggi anche il Carmine è un luogo quasi asettico. Le lucciole, che nei vicoli venivano chiamate zie, ci sono ancora. Stanche, sedute fuori dalla porta d’ingresso di palazzi che vorrebbero loro stessi poter andare in pensione. Ci sono ancora gli uomini di malaffare, ma quegli odori, quelle tensioni che si respiravano negli anni del dopoguerra, quelli no. Per ritrovarli serve un romanzo olfattivo.

Uno di quei libri dove negli angoli delle pagine è impregnato un odore e se sfregandone il bordo lo si riesce a sentire. Questo può essere Sette Diavoli, di Marco Archetti, autore non di primo pelo ma bensì di irsuta capacità narrativa. Capace di dare vita ad ogni singola immagine, rendendo la parola tridimensionale. Egle, l’io narrante, è la storia non narrata di molte ragazze. Quelle che si sono ritrovate senza niente dalla mattina alla sera. Quelle che avevano sogni che sono finiti a marcire, schiacciati a più riprese sopra materassi sfondati. Quelle che volevano ballare, cantare e fingere per un giorno di poter essere principesse e si sono ritrovate sguattere a sciacquare incubi quotidiani.

Il fatto di avere i capelli rossi, di parlare con un accento che non c’azzecca nulla con quello bresciano, di tirarsi appresso un fratellino ritardato. Tutto ciò costituisce la sua diversità e contribuisce ad impedirgli di poter coltivare baccelli che dovrebbero dare speranza a tutti coloro che li innaffiano, ogni giorno, fosse anche con le proprie lacrime. Sette Diavoli è un romanzo contemporaneo. Descrive non ciò che l’Italia ha visto passare in bianco e nero negli anni cinquanta, ma il dramma che ancora oggi emargina persone, spogliandole della propria identità. Un calcio nei denti non lo auguri a nessuno, ma un libro che ti lasci per qualche giorno dei lividi addosso, a volte serve. Soprattutto per tornare a sviluppare quello dei cinque sensi che oggi sempre meno utilizziamo. L’olfatto sentimentale.

 

Sette Diavoli di Marco Archetti – edizione Giunti

 

A cura di Wiliam Amighetti

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