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Cultura

CHIUSO IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO, I NUMERI DELL’EDITORIA NON TORNANO

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L’ultima edizione del Salone del libro di Torino ha sottolineato una serie di conferme, sia positive che negative, evidenziando pregi e difetti dell’editoria Italiana e del panorama letterario. Il dato principale è ancora una volta quello dell’affluenza, con un numero di visitatori che ha superato anche quest’anno le trecentomila unità. Rimane invece sconosciuto il rapporto sui dati vendita.

L’organizzazione, al termine del salone, ci ha infatti informato che l’incremento delle vendite è stato del 15%, senza però fornire numeri su quali fossero i dati precedenti.

Se analizziamo con calma i dati, scopriamo però che la situazione del mercato letterario italiano non è migliorata, anzi, lentamente continua nella sua inesorabile opera di affossamento. Le grandi case editrici ci fanno sapere che i titoli più gettonati hanno venduto, sull’intera durata dell’esposizione, non più di 300 copie. Significa che meno dell 1% dei visitatori ha scelto di acquistare un Best Sellers. Quindi tutti coloro che contribuiscono alla stampa delle fascette che vantano pluri edizioni di questo o di quest’altro titolo sono rimasti a casa? Si consideri che alcuni editori gongolavano per la vendita di cinquanta! Copie di romanzi che a loro giudizio costituiranno il panorama letterario futuro. Auguri sinceri, affinché fra i gadgets che l’editoria propone per l’acquisto di un libro ci sia anche quello della calcolatrice.

Vende ancora il post mortem, categoria che accomuna tutti coloro che sono recentemente passati a miglior vita (ossimoro che ancora non si riesce ad eliminare… sei morto? Quindi di che vita stiamo parlando?) ad ogni modo, il top sellers del salone è stato il libro postumo di Giorgio Faletti che ha superato le 1000 copie. La stessa calcolatrice potrebbe servire a coloro che nel format hanno indicato una discreta diminuzione dell’affluenza al proprio stand, ma un aumento delle vendite superiore al 20%. Cioè, da me non viene nessuno ma i pochi che vengono comprano il doppio rispetto allo scorso anno.

In tempi di recessione economica quindi scopriamo quale sia la strada giusta per rilanciare l’editoria. Falsificare i dati di vendita. Benissimo. Andiamo avanti, perché a questo punto bisognerebbe dare uno sguardo anche a quelli che vengono definiti “eventi”, forse per evidenziare il numero di copie vendute cioè venti e non una di più. Auditorium che possono ospitare dalle trecento alle millecinquecento persone, hanno permesso agli editori di vedere un impennata sul grafico delle vendite di poco più di cinquanta copie per presentazione. Ora, i dati che presento non sono volutamente denigratori. Servono però per far capire il turpiloquio che le Major continuano a proporci.

Un esordiente che si ingegni nell’organizzazione di una serata di presentazione del suo nuovo romanzo, vende molto di più. Senza pomposità. Senza necessariamente inginocchiarsi davanti ad un editore. Vendere 300 copie al Salone è un vero flop e non deve essere visto come un traguardo, ma come un naufragio del titolo proposto. In questo oceano si sono visti anche piccoli barchini di salvataggio. A bordo riuscivano ad ospitare titoli che l’editoria vorrebbe far affondare, ma che caparbiamente resistono, stoici, sperando che il pubblico li scorga e che li segnali alla guardia costiera.

Il senso del Salone va ricercato nella possibilità di poter scoprire nuove proposte letterarie che a causa della sciagurata politica di distribuzione e oppresse dalle grandi case che sempre più tendono a voler eliminare i piccoli editori, difficilmente riuscirebbero a farsi conoscere. Ora, non voglio essere disfattista, ma la realtà è questa. I grandi continuano a manipolare classifiche di vendita senza fornire alcun dato e i piccoli cercano di mettersi in piedi su sgabelli traballanti per poter far sentire la propria voce. Nessuno ha però cercato di guidare il potenziale lettore.

Il Salone si è dimostrato ancora una volta come una Casbah senza capo ne coda, dove c’è tutto e dove non c’è niente, dove uno paga lo stesso prezzo medio di un libro solo per poter entrare a comperarne un altro. Lo spettacolo è finito con gli editori che si davano delle belle pacche sulle spalle, soddisfatti di avere venduto un oncia e convinti di avere fra le mani una miniera d’oro. Si ricordino che oggi lo sfoggio della bigiotteria è piuttosto comune e spesso la differenza non balza più agli occhi.

 

William Amighetti

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