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DIECI ELEGIE PER UN OSSO BUCO

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Immaginati un bivio, con biforcazioni decuplicate rispetto alle teste dell’Idra e immagina che ogni deviazione porti comunque alla stessa meta, seguendo solo percorsi diversi. Osservando dall’alto questo nuovo capolavoro grafico, pare di intravvedere una di quelle mappe care ai Michelin (non la cantante) con strade blu e linee rosse che convergono verso la nostra meta. Quella dell’immaginazione cosmica. Le Elegie dell’Ossobuco escono dal passepartout di una cucina freak, ridanno colore ad asettiche sale da pranzo che hanno perso la primordiale identità dadaista, fanno accomodare il tempo che fu e ricominciano a narrare una di quelle storie incredibili, prive di mostri, di sangue riversato a tutti i costi, di denti aguzzi o di copioni miserrimi tirati per le lunghe solo per riempire il calderone del tempo. Bedo la Mummia ( per dovere di cronaca si sappia che è fuggito dal Louvre. In caso doveste avvistarlo) conosce la raffinata arte dell’intrattenimento attraverso la narrazione. Quella di Verne e Flammarion resa poi tangibile e mobile dalle prime immagini proiettate dai fratelli Lumiere.

Quella splendida dove i racconti mirabolanti non erano costantemente sottoposti alla revisione pseudo culturale che impone di verificare ogni fonte e citazione. Così, nello sbobinamento della trama della pellicola cartacea di Leila Marzocchi e Pinko Zeman, trova posto anche un cane bassotto, Lord Blumdsbury, avvezzo alle scommesse e plausibilmente anche allo sherry che deve avere bevuto in compagnia della signorina Virgina Woolf. In questo labirinto degli specchi si incontrano anche la donna barbuta e l’uomo aragosta. Si vede la prospettiva mutare e il piano d’appoggio delle certezze che continua ad inclinarsi. Oggi vanno alla grande i programmi televisivi che spacciano degli onesti manovali del pelapatate, come valenti chef. Nessuno è più in grado di preparare come si deve una Ratatouille, ma dal forno policromatico della Marzocchi esce un profumo intenso. Uno di quegli aromi che ha inspirato la costruzione del piffero di Hammelin, uno di quelli che respiravamo da bambini e che da tempo non sentiamo più.

Ti ricordi quando tutto era nuovo? Quando ogni cosa non appariva scontata ma si lasciava guardare con stupore. Quando i bambini facevano davvero Ohhhhh e non per scimmiottare nessuno. Quando il mondo era in bianco e nero e i sogni a colori. L’ossobuco al centro del piatto è un lavoro grafico narrativo bellissimo. Uno di quelli che non sai se deve essere riposto sullo scaffale dei tuoi libri migliori o se deve rimanere a fare compagnia sul comodino così che lo si possa rileggere, anche solo un paio di pagine, ogni sera, giusto per avere la pillola letteraria che ci Morfeggia (se si può dire petaloso si potrà pure declinare Morfeo). Leila Marzocchi chiude la sua presentazione al pari delle mie, consigliando un buon vino o un piatto da abbinare alla lettura. Al suo Bordeaux d’annata io aggiungo un indicazione geografica precisa. Sorseggiate quello della riserva dei Depallier. Difficile da trovare, ma fantastico, e mordicchiate le petit baguette al cioccolato di Madame Ducroix Lassalle. L’omino brizzolato del caffè chiuderebbe con il più classico… What Else.

 

Dieci Elegie per un Osso Buco – di Leila Marzocchi e Pinko Zeman

ed Coconino Press.

 

NOTA AGGIUNTIVA SUGLI AUTORI

Leila Marzocchi pubblica i suoi disegni e le sue storie dal 1985. Collabora con quotidiani e riviste, da Repubblica al Corriere della Sera. I suoi fumetti sono editi in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Giappone e Stati Uniti. Per Coconino Press ha realizzato numerosi volumi tra cui la saga Niger e quella di Hambone. Ha vinto nel 2007 il prestigioso premio Lo Straniero.

Pinko Zeman nasce a Zagabria troppi anni fa. In Croazia lavora come gagman per Hungaro Film e Animadynamo prima di scrivere drammaturgie per il teatro. Si trasferisce dunque a Bordeaux, in Francia. Dopo un periodo allo sbando in cui commercia pneumatici e scrive un breve saggio sui pitagorici (dato successivamente alle fiamme), comincia a collaborare con Leila Marzocchi. Sono passati ormai 15 anni. La sua misantropia gli impedisce di frequentare i festival di ogni dove.

 

A cura di William Amighetti

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