Cronaca
RSA e Covid-19: una strage annunciata. L’approfondimento della CISL
RSA e Covid-19: una strage annunciata. L’approfondimento della CISL: in provincia di Bergamo 1300 morti.
Un approfondimento riguardo alle RSA e il Covid-19 della CISL è stato pubblicato in queste ore. Secondo l’indagine condotta dalla Fnp Cisl Lombardia sulle residenze socioassistenziali, a cura del dipartimento Welfare, lo scenario delle Rsa, già prima della pandemia, si rivela difficile, con rette alte e lunghe liste d’attesa.
Il rapporto analizza le 708 strutture Rsa disseminate nelle province lombarde. Le fonti sono i dati pubblicati da Regione Lombardia, dalle Ats, dalle Carte dei Servizi delle stesse Rsa. Al 31 dicembre 2019, i posti letto disponibili nelle Rsa lombarde, cioè i posti letto autorizzati/abilitati, sono 64.431, un più 951 posti letto rispetto al 2018.
Mentre calano ancora i posti letto contrattualizzati – riconosciuti da Regione Lombardia con regolare contratto e finanziati, in parte, dal Fondo Sanitario Regionale – che sono fermi a 57.603, un meno 901 posti letto rispetto al 2017 e 2018.
Con l’emergenza Covid, la situazione si aggrava
Con l’emergenza Covid, la situazione si aggrava. In Lombardia la prima settimana di marzo è stata apocalittica: nei pronto soccorso continuavano ad arrivare persone che non riuscivano più a respirare. Nella notte di sabato 7 marzo il premier Conte annuncia il lockdown dell’intera regione: dieci milioni di persone si ritrovano chiuse nella zona rossa. La giunta presieduta da Attilio Fontana non sa come fronteggiare l’emergenza, teme che il sistema sanitario non regga.
La tragica delibera di inizio marzo
A seguito dell’annuncio del lockdown del 7 marzo, la giunta lombarda decide di fare posto negli ospedali trasferendo i pazienti meno gravi, positivi e non, nelle Rsa.
I tecnici della Regione fanno un ragionamento pratico: abbiamo un eccesso dei malati, che non sono in condizioni serie ma necessitano comunque di controllo clinico. Le Rsa dispongono di medici e infermieri, quindi se ne possono occupare. Ma mandare i malati di Covid-19 accanto alle persone più esposte, è come portare il fuoco in un pagliaio.
L’emergenza Coronavirus si fa sempre più drammatica nelle case di riposo. A fine marzo si succedono notizie di contagi e di decessi tra gli anziani ospiti delle Rsa, in tutta Italia e soprattutto in Lombardia. Il tragico caso della Borromea di Mediglia, che conta 61 degenti morti è solo il picco di una situazione che coinvolge tutta la regione.
Un articolo del 27 marzo comparso sul quotidiano Il Giorno evidenzia i casi noti di decessi nelle Rsa in otto province: Varese, Milano, Pavia, Lodi, Brescia, Bergamo, Sondrio. I numeri più alti sono nel milanese, nel lodigiano, uno dei primi focolai del contagio, ma anche a Brescia e a Bergamo. Dati non ufficiali, di cui il” sindacato dei pensionati” è giunto a conoscenza, dicono che l’emergenza Coronavirus nelle Rsa si fa sentire anche a Cremona e Mantova.
Repubblica, Corriere della Sera, Vita, Il Giornale, solo per citarne alcuni, denunciano quanto succede nelle case di riposo: la mancanza di informazioni complete nei confronti delle famiglie, lacune nei dispositivi di protezione individuale, l’assenza dei tamponi ha creato le condizioni per il dilagare del contagio.
In meno di due mesi nelle Rsa di Brescia moriranno 1.800 ospiti; in quelle di Milano 1.700; in quelle di Bergamo oltre 1.300.
L’appello dei sindacati
Dal 1 aprile Fnp Cisl e Fp Cisl lanciano un appello in tutta Italia Salviamo i nostri anziani. Un video per portare alla luce e dare voce “all’emergenza nell’emergenza”, cioè l’epidemia da Covid19 che sta drammaticamente colpendo gli ospiti delle case di riposo.
Il sindacato dei pensionati nazionale e tutte le sedi regionali, insieme al sindacato della funzione pubblica, ribadiscono nel video che l’allarme per i degenti delle Rsa, come pure per gli operatori che li assistono, è molto grave.
Nel video è riportato quanto dicono molti operatori delle Rsa: “Da noi la situazione è diventata incontrollabile. Stiamo lavorando in condizioni surreali, i dispositivi di protezione individuale sono pochi e spesso non vanno bene per il tipo di assistenza che diamo”.
Quella degli operatori è una richiesta di aiuto alle aziende sanitarie: “altrimenti, oltre agli ospiti moriranno anche gli operatori. Non possiamo assistere impotenti al dolore di chi vive nelle nostre case di residenza. Dobbiamo difendere il nostro passato e il nostro futuro”.
Attivare l’osservatorio
Con lettere del 26 febbraio e 20 aprile 2020 i sindacati dei pensionati della Lombardia scrivono alla Regione e chiedono di convocare l’Osservatorio sulle residenze socioassistenziali. Valerio Zanolla, Emilio Didonè, Giuseppe Ippolito, rispettivamente segretari generali di Spi Cgil, Fnp Cisl, Uilp Uil Lombardia, firmano la lettera rivolta adAttilio Fontana, presidente Regione Lombardia e a Giulio Gallera, assessore al Welfare.
I sindacati parlano della necessità e dell’urgenza di convocare l’osservatorio, “sede adeguata per affrontare, in questa delicata fase, le specificità, le preoccupazioni e le incertezze dei nostri pensionati rappresentati, alla presenza di tutti gli attori coinvolti, in un confronto da svolgere al di fuori dei clamori della cronaca quotidiana”.
Scrivono i sindacati: “Siamo disponibili e interessati ad affrontare tutti i temi riguardanti le Residenze Sanitarie Assistenziali, per contribuire alla costruzione di un percorso che porti a un nuovo modello socio sanitario, che sappia affrontare la vecchiaia di noi cittadini e che sia più adeguato alle esigenze della comunità di oggi, profondamente cambiate e diverse rispetto al recente passato. Oggi più che mai si sente l’assoluto bisogno di collaborare tutti insieme affinché la nostra Regione, il nostro Paese esca nel migliore dei modi da questa emergenza con una prospettiva nuova e concreta. Vogliamo guardare avanti e pertanto rinnoviamo la nostra proposta, il nostro invito e disponibilità, auspicando si possa avviare un serio e trasparente dialogo con tutti i soggetti coinvolti nell’Osservatorio Rsa Regione Lombardia”.
A maggio il programma Report, realizza un inchiesta titolata Anziani Spa e indaga gli sviluppi del contagio da Covid19 nelle Rsa, in molte regioni italiane, analizzando i rapporti tra direzioni sanitarie delle strutture e istituzioni politiche.
Per la trasmissione, andata in onda lunedì 18 maggio su Rai 3, viene intervistato il segretario generale Fnp Cisl Lombardia, Emilio Didonè. Dall’intervista emerge che il sindacato dei pensionati Cisl Lombardia, insieme a Spi Cigl e Uilp Uil, si era dichiarato contrario alla presenza di malati contagiati da Coronavirus nelle strutture che ospitano gli anziani.
Ha detto Didonè a Report: “Se un assessore o un’istituzione regionale dice agli anziani, ai pensionati, state a casa, perché siete a rischio, la coerenza vuole che almeno cerchi di risparmiare quelli ricoverati in Rsa”.
Il 22 maggio 2020, un comunicato stampa congiunto Cgil, Cisl e Uil Lombardia denuncia l’assenza di dialogo con l’istituzione regionale.
Si legge nel comunicato: Non sono bastati i numeri choc delle morti nelle fasce di popolazione più fragili a partire dagli anziani ospiti nelle Rsa lombarde, o spesso abbandonati al proprio domicilio per convincere Regione Lombardia che sono stati fatti errori e che è indispensabile cambiare strada. Gli incontri avuti nelle giornate di ieri e di oggi dove sono stati illustrati gli indirizzi per la riapertura in sicurezza delle strutture del sistema socio sanitario lombardo confermano l’assenza di un progetto di gestione del rischio, di risposta ai bisogni a alla qualità dell’offerta assistenziale, e una prospettiva di riorganizzazione della rete dei servizi territoriali.
La sicurezza viene garantita se si coinvolgono tutti i soggetti compresi i lavoratori e gli operatori del sistema che in questa drammatica situazione hanno comunque garantito la tenuta dei servizi. Con la Delibera di Giunta che Regione Lombardia sta per assumere, sembra preoccuparsi solo di indicare le responsabilità in capo agli enti gestori e alle Ats. Chiediamo al Presidente di regione Lombardia, ad Anci e agli enti gestori di modificare questo approccio e a realizzare percorsi condivisi per una ripresa sicura”.
Il caso di Bergamo: il punto di non ritorno
A Bergamo, una nota di Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale, Associazione San Giuseppe e Associazione delle case di riposo, pubblicata dai giornali il 28 marzo, dichiarava che si sono verificati 600 decessi su 6.400 posti letto, solo nella provincia di Bergamo. Il dato riguarda le Rsa e i centri diurni e, dicono i responsabili, la situazione continua a evolvere in peggio. La lettera, che è del 25 marzo, annuncia anche chequasi 2.000 dei 5.000 operatori sono assenti per malattia, quarantena o isolamento.
In meno di due mesi nelle Rsa di Bergamo moriranno 1.300 ospiti. Ma i numeri, alla fine, parleranno di 200 persone al giorno, con un incremento dei decessi del 568% rispetto alla media dei decessi degli ultimi 5 anni e nel confronto di una media nazionale del 49,4% .
Il segretario generale Fnp Cisl Bergamo, Caterina Delasa, il 15 giugno, scrive un’appassionata, intensa relazione su periodo Covid-19 vissuto in Lombardia e, in particolare, proprio nella provincia di Bergamo.
“La città di Bergamo purtroppo è divenuta drammaticamente il simbolo della pandemia che si è diffusa in modo particolarmente tragico qui, ma non solo qui, penso a Brescia, Cremona, Milano.
C’è una domanda che ricorre con insistenza nel pensiero di tutti noi, al di là delle indagini che sono in atto: Perché proprio qui? Perché nel cuore della Lombardia, il virus ha avuto tanta forza, tanta violenza. Perché a Bergamo, come a Brescia, in provincie tra le più dinamiche, più intraprendenti, più moderne. Perché proprio qui in una regione dove vengono a curarsi ogni anno migliaia di pazienti non lombardi? E perché proprio a Bergamo tocca il primato indiscusso dei decessi a fronte di un dichiarato numero di contagi inferiore ? Perché qui?
Qualcuno alla fine dovrà trovare una risposta ricostruendo la catena di errori, di omissioni, di strategie sbagliate, di sottovalutazioni. Magari non oggi, non ora, ma c’è bisogno di dare una certezza a quel che è successo perché non possa più succedere di farci sorprendere così impreparati, così inadeguati. Dal 20 Febbraio, la vigilia del 1° caso covid a Codogno, in soli 30 giorni, Bergamo piange la perdita di 6.238 persone, per lo più anziani, (“è solo un’influenza, muoiono solo i vecchi già malati di altre patologie”); ma alla fine tocca anche ad altri; se sono andati nella provincia di Bergamo ad un ritmo di 200 persone al giorno, con un incremento dei decessi del 568% rispetto alla media dei decessi degli ultimi 5 anni e nel confronto di una media nazionale del 49,4 %. Sono numeri impressionanti che però per noi hanno il volto di un nostro famigliare, di un amico, di un conoscente, di un volontario che stava al nostro fianco nelle sedi, di un cittadino che vi entrava.
La nostra FNP bergamasca in quello stesso mese ha perso 1520 persone dei nostri iscritti, contro i 191 del corrispondente periodo del 2019. Solo in questi 30 giorni tra queste persone 10 nostri stretti collaboratori. A Nembro ed Alzano, la mancata zona rossa, l’incremento dei decessi è stato del 1000%, e per alcuni lunghi giorni, per le strade di Nembro si è sentito solo il suono delle sirene, dopo che le campane che suonavano a morto sono state silenziate perché l’angoscia dei cittadini era diventata insopportabile. Così mi ha raccontato il nostro delegato comunale Claudio che sentivo a volte al telefono.
Numeri reali questi, immensamente lontani dai dati ufficiali per decessi Covid, semplicemente perché i tamponi sono stati da subito introvabili, perché la gente moriva in casa, in famiglie abbandonate a sé stesse, che non potevano ricoverare i propri cari tanto più se anziani perché gli ospedali erano intasati per il moltiplicarsi incontrollato del numero di contagi, perché anche i medici di famiglia, anche i più presenti e solleciti, sono stati lasciati soli, impotenti, confusi come tutti noi; troppo pochi i medici di famiglia a Bergamo, ciascuno con circa 1.600 pazienti, contro i 1.300 della media regionale, il numero raccomandato dalle linee guida della Regione Lombardia. Anche loro si sono via via ammalati perché visitavano senza protezioni, hanno visitato poi per telefono o per mail (troppo tardi ormai), e avrebbero dovuto segnalare i pazienti da sottoporre ai tamponi, ma i tamponi non bastavano o non c’erano proprio.
Lunedì 24 Febbraio la FNP di Bergamo ha chiuso le sedi all’accesso agli esterni, una decisione maturata nel fine settimana dopo che nel pomeriggio di venerdì 21 Febbraio, nel nostro ufficio di Bergamo era calato tra noi un silenzio preoccupato, interrotto da un insistente e troppo frequente suono delle sirene delle ambulanze dirette all’ospedale PapaGiovanni. Ma nella settimana successiva qualcosa cambia di nuovo: nel contesto della città e della regione si diffonde una reazione opposta, che tende a minimizzare di nuovo la pericolosità della pandemia, a indicare sopravvalutazioni del pericolo e a incoraggiare la fiducia della popolazione. Bergamo, Milano, Brescia non si fermano, lo slogan del 27 Febbraio; Sala, Gori, Del Bono ma anche alcuni sindaci di piccoli paesi, aperitivi ai Navigli e nelle piazze, anche Salvini incita a non fermarsi, anzi a spalancare. Tutte iniziative sostenute con energia dalle associazioni degli imprenditori locali. Da ogni parte si è contrari alla chiusura.
Ma all’ 8 Marzo la tragedia è ormai inarrestabile: nelle RSA gli ospiti e il personale stanno già pagando da giorni un prezzo altissimo in termini di contagi e di vittime: la cronica fragilità degli ospiti, la fragilità dei luoghi stessi, l’assoluta mancanza di protezioni per il personale avrebbero avuto bisogno di ben altro di quella “famosa” delibera (che imponeva di accogliere nelle RSA i malati covid dimessi dagli ospedali).
La situazione arriva ad un punto di non ritorno, il contagio era diventato ormai impossibile da contenere, l’unica soluzione era cercare di sopprimerlo, limitando al massimo le interazioni tra le persone e cercando di diminuire la pressione sul sistema sanitario, diventata altissima fino al punto da non poter ricoverare nei reparti di terapia intensiva tutti i pazienti che ne avevano bisogno.
Bergamo diventa una città listata a lutto, che non partecipa più per questo ai flash mob, i necrologi sui giornali locali ormai vanno avanti per dieci – dodici pagine ogni giorno. E mi fermo qui con il ricordo.
Certo ora che l’angoscia di quei giorni si è attenuata con il ritorno graduale ad una parvenza di normalità, che ancora però qui appare lontana, si scatena la rabbia di fronte al rimpallo delle responsabilità, serpeggia una tensione sociale che può aggravarsi con la caduta della disponibilità di reddito delle famiglie. E’ chiaro che 6325 posti in meno in due mesi a Bergamo, tra cessazioni e soprattutto mancate assunzioni , preoccupano. Non possono non preoccupare, anzi proprio per questo l’attenzione verso l’epidemia deve continuare a essere alta, deve prevalere il senso di responsabilità di ciascuno per andare avanti con la massima autodisciplina. È così che, avendo a cuore Bergamo, e noi abbiamo a cuore Bergamo, “Andrà tutto bene”.
La riapertura delle RSA in Lombardia
Dal 9 giugno riaprono le Rsa in Lombardia. Come dichiarato ai giornali dall’assessore al welfare Giulio Gallera, le Rsa possono ricominciare ad accogliere nuovi ospiti, ma secondo regole nuove, per ridurre il rischio di contagio da Covid19.
Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil Lombardia, in un comunicato stampa, dichiarano soddisfazione e commentano: “Ostinarsi è un vizio, come lo è insistere nell’errore, ma il cambiare opinione e il dare ascolto a chi ti corregge, è certamente un comportamento da saggi (…) “È sicuramente una netta retromarcia rispetto alle delibere di marzo e aprile,delibere da noi subito contestate, e anche grazie alla nostra prima denuncia (contraria al permesso alle Rsa, su base volontaria, di dedicare spazi separati per prendere in carico pazienti affetti dal Covid che erano stati dimessi dagli ospedali), che si è alzato finalmente il velo sulla tragedia Rsa consumata in Lombardia”.
Dopo questo primo passo, però, bisogna pensare a regolamentare, in sicurezza, l’accesso dei parenti degli ospiti delle Rsa. La delibera, infatti, non interviene sulle attuali regole che da più di tre mesi impediscono il contatto personale tra gli ospiti e i parenti se non attraverso un vetro, cellulare, smartphone, iPad. Le visite dei parenti sono concesse solamente in situazioni di particolare necessità e dietro specifica autorizzazione.
Per i sindacati, ora occorre accelerare anche l’accesso e le visite dei parenti in sicurezza. È importante rispettare il desiderio di avere accanto i propri cari in questa ultima fase di accompagnamento della vita.
Al 24 giugno, è ancora la questione della riapertura graduale in sicurezza delle Rsa, ai nuovi ospiti e ai parenti, a tenere banco nel confronto tra sindacato pensionati Fnp Cisl Lombardia e regione Lombardia. «Quotidianamente riceviamo decine di telefonate di famiglie che stanno vivendo situazioni difficili e “veri propri incubi”», dice Emilio Didoné, segretario generale Fnp Cisl Lombardia, e il “muro” burocratico alzato da palazzoLombardia impedisce di fatto un ritorno di normalità nelle Rsa lombarde. Il tavolo di confronto tra rappresentanti Rsa e regione Lombardia, esclusi e non invitati i sindacati dei pensionati, non ha partorito i risultati concreti che ospiti, famiglie e parenti aspettavano da mesi. Anche dopo le ultime delibere regionali, in Lombardia è ancora tutto in stand by. E se continuasse cosi, probabilmente sarà difficile prevedere qualcosa di riaperto prima di settembre.
Riformare è migliorare
La Fnp Cisl Lombardia continua la battaglia a nome di molte famiglie disperate per costringere Regione, oltre a deliberare, «a imparare a mettere in campo controlli e verifiche della sua applicazione pratica nelle Rsa e altri centri di disabili residenziali e semiresidenziali. Regione Lombardia ha si deliberato la riapertura delle Rsa, ma quanto ha previsto in questo atto non è abbastanza chiaro e applicabile. Si poteva certamente osare di più cosa che di fatto ha fatto invece il Veneto».
I sindacati dei pensionati, insieme alle confederazioni Cgil, Cisl e Uil e le categorie di lavoratori, il 23 giungo hanno concluso una tre giorni di protesta per riformare e migliorare il sistema sanitario e socio sanitario in Lombardia, «e ce ne tanto bisogno! Siamo un sindacato, un grande e autorevole sindacato, ma pur sempre un sindacato. Non siamo noi a prendere le decisioni, a scrivere le delibere. Noi possiamo sollevare le problematiche, denunciare il malcostume, dare voce alle persone che rappresentiamo, presentare proposte ma poi chi decide è sempre e solo la politica, votata e legittimata per questo».
«Non molliamo e non molleremo fino a quando questa situazione non si sarà sbloccata per ospiti, parenti e famiglie in tutte le RSA lombarde” in alcune RSA la situazione si sta lentamente sbloccando, sia per i ricoveri e sia per le visite parenti, ma perché non in tutte? Quali sono le difficoltà? Perché regione Lombardia che conosce benissimo questa situazione di stallo non interviene? – conclude Didonè – Non crede che le famiglie, invece di telefonare a vuoto, abbiano il diritto di saperlo?».
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