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VENIVAMO TUTTE PER MARE

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Fra le tante forme d’arte orientali, i Giapponesi hanno insegnato al mondo quella delicatissima del piegamento della carta. Lo chiamano Origami e nelle sillabe che compongono questo termine è nascosta una delle tante metafore della concezione buddista. In realtà ci si riferisce alle parole. Al modo in cui possono essere dette e ripiegate su se stesse. L’autrice americana Julie Otsuka, di chiare origini nipponiche, ci porta a bordo di una nave. Una delle tante che hanno solcato da sempre i mari del nostro mondo. Spostando le persone da un luogo all’altro. Veleggiando verso la speranza. A volte naufragando tempo dopo essere arrivate in porto.

“Venivamo tutte per mare” è un ininterrotto coro di voci femminili. Un “noi” che racchiude tante vite ed altrettante speranze. Ed è questo il lato più interessante del breve romanzo della Otsuka che, con una certa dose di lirismo e altrettanta dolcezza, racconta delle “spose in fotografia”. Migliaia di ragazze giapponesi unite in matrimonio con uomini (immigrati giapponesi in America) che non conoscono se non attraverso una foto.

“Venivamo tutte per mare” segue il loro viaggio attraverso l’oceano fino all’arrivo a San Francisco, le fatiche del lavoro e della maternità fino al momento in cui, dopo Pearl Harbour, i giapponesi vengono considerati potenziali nemici e deportati. Siamo agli inizi del ‘900 e Julie Otsuka recupera una porzione di storia nippo-americana che oggi ricordano in pochi. Il romanzo è di un attualità disarmante. Le nostre coste non sono invase da bamboline in kimono, ma da disperati che portano con se un fardello fatto di sguardi, parole, sogni, speranze, più per i propri figli che non per se stessi.

Leggere la ciclicità degli eventi che da sempre hanno segnato la storia dell’uomo e delle sue migrazioni è un passo fondamentale per la comprensione dei tempi che quotidianamente cambiano. Le soluzioni espressive scelte dalla Otsuka rappresentano la parte forte del romanzo. Non ci sono personaggi principali ma una miriade di volti e storie che compongono un’unica grande vicenda che si moltiplica all’infinito e si distende capillarmente.

Il lungo “canto” della scrittrice è in grado di stregare il lettore anche se, per quanto mi riguarda, ho trovato alcune sequenze un po’ lente e sfibranti. Ovviamente non si può non apprezzare la maestria della narratrice la quale riesce ad affrontare un momento storico piuttosto complesso e umanamente arduo con una semplicità disarmante grazie all’essenzialità di una prosa che non prevede dialoghi ma si basa su un ricercato uso di ripetizioni ed anafore. Le frasi si fanno brevi, incisive, martellanti. Uno stile che, come intuibile, può non piacere o non convincere tutti ma che rappresenta sicuramente un modo leggermente diverso di fare letteratura.

 

Venivamo tutte per mare, di Julie Otsuka ed. Bollati Boringhieri.

 

A cura di William Amighetti

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