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Cronaca

Il punto sull’ospedale di Alzano, “Il covid-19 era anche in psichiatria”

Il punto sull’ospedale di Alzano, “Il covid-19 è arrivato anche in psichiatria”. La testimonianza di una giovane. I rapporti dell’Azienda ospedaliera: “Fatto tutto come da prassi”. Pronto soccorso riaperto per ordine della Regione.

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Il reparto di psichiatria è all’interno dell’ospedale di Alzano Lombardo: l’accesso è esterno e si trova davanti al Pronto soccorso. Per entrare bisogna fornire le generalità tramite citofono e poi sono gli infermieri ad accompagnare chi entra. Qui ci sono i soggetti più fragili, tra cui minori. Un reparto tra i più protetti, o almeno dovrebbe esserlo.

Oggi però possiamo dire che il Covid-19, che – attraverso la nostra inchiesta – abbiamo ricostruito essere in ospedale già ben da prima del 23 febbraio (quando vennero accertati i primi due casi positivi), era arrivato anche lì.

A raccontarci quanto vissuto un’educatrice della media Val Seriana che il 12 febbraio scorso aveva assistito un soggetto minore che si trovava in quel reparto.

Nell’intervista esclusiva di Valseriana News, la giovanissima racconta che, dopo aver fatto quell’assistenza, il 24 febbraio venne contattata dal suo datore di lavoro per informarla che la persona minorenne che aveva seguito era risultata positiva al Coronavirus.

Il primo minore positivo al Coronavirus in bergamasca era ricoverato in psichiatria ad Alzano

Il racconto della ragazza si collega alla cronaca di quei giorni quando raccontavamo del primo minore positivo al Covid-19 in provincia di Bergamo.

Era stato lo stesso assessore regionale Giulio Gallera il 26 febbraio a dire in diretta al tg di mezzogiorno di Bergamo Tv: “Il paziente minore di Seriate è ricoverato per problemi diversi e non ha alcun sintomo legato al Coronavirus. Gli è stato fatto il tampone in via precauzionale ed è risultato positivo. E’ il classico caso di una persona che tra qualche giorno diventerà negativoperché la malattia farà il suo corso senza dare sintomi”. 

Poi Gallera aveva concluso: “Quelli di Alzano, di Nembro soprattutto, dico loro di stare tranquilli. Stiamo investigando sui contatti diretti, stiamo gestendo la situazione con la migliore efficienza possibile”.

Ma noi ad oggi sappiamo che non è andata così perché, come ci dice questa testimone, a lei stessa, che in quelle due settimane ha continuato a lavorare e incontrare persone, nessuno ha fatto il tampone. “Da Ats mi hanno detto che potevo concludere la mia quarantena, che in verità non avevo mai fatto, senza nessuna particolare precauzione. Io non mi sono ammalata leggermente e in quelle due settimane potrei aver contagiato molte persone”.

L’inchiesta sull’ospedale di Alzano

Intanto la Procura di Bergamo lavora ad un’inchiesta aperta contro ignoti per epidemia colposa. Sono passati circa 45 giorni da quel 23 febbraio e oggi sappiamo che la conta dei morti tra ufficiali e riconducibili a Covid-19 in tutta la provincia di Bergamo è di 4500 persone nel mese di marzo. Tra di loro nonni, padri, madri, gli stessi operatori sanitari come l’impiegato dell’ospedale di Alzano, Gennaro Leardi, che aveva implorato i dispositivi di sicurezza, arrivati in ritardo, quando lui aveva già contratto il virus morendo da solo in casa pochi giorni dopo.

Proprio per questo motivo il procuratore facente funzione Maria Cristina Rota ha parlato di «un’indagine estremamente delicata che proseguirà con il massimo rispetto delle vittime e dei loro familiari, ma anche degli operatori sanitari, medici e paramedici, che in questo momento stanno dando tutto per salvare le vite di molti pazienti, e hanno anche avuto colleghi deceduti». Un pool di pubblici ministeri si occuperà di tutta l’attività di indagine che riguarda l’epidemia da coronavirus: tutte le denunce e gli esposti con notizie di reato saranno affidati allo stesso team, coordinato dalla stessa procuratrice, con i sostituti Giancarlo Mancusi e Fabrizio Gaverini.

La riapertura dell’ospedale e la sanificazione

Intanto i media nazionali continuano ad indagare sull’accaduto. Riguardo alla riapertura dell’ospedale, che era infetto, non solo in Pronto Soccorso, ma anche in Medicina e in Chirurgia dov’erano ricoverati i primi due pazienti accertati, Tpi.it ha pubblicato una dettagliata testimonianza che potete leggere qui.

In una video testimonianza viene rivelato ciò che è successo tra il 23 e il 25 febbraio in quel Pronto Soccorso, chiuso e poi inspiegabilmente riaperto poche ore dopo che venissero accertati i primi due casi Covid-19. Per la prima volta un dipendente dell’Azienda socio sanitaria territoriale (ASST) Bergamo Est, che gestisce l’ospedale “Pesenti Fenaroli”, vuota il sacco e denuncia che, con ordini dall’alto, è stato imposto di lasciare aperta la struttura sanitaria, che la sanificazione non è mai avvenuta e che i pazienti presunti Covid-19 venivano respinti e non accolti in altre strutture e lasciati nell’oblio più totale, ricoverati insieme agli altri pazienti dell’ospedale.

Anche il tg serale di RAI 1 ha dato spazio ad un’intervista di un primario che illustra tutte le perplessità del caso e spiega che la decisine di riaprire sia stata in capo alla Regione (guarda il servizio a questo link).

I rapporti dell’Azienda Ospedaliera

Stando ai rapporti che l’Azienda ospedaliera Bergamo Est (di cui l’ospedale fa parte) ha inviato alla Regione a inizio aprile (dunque più di un mese dopo dall’accaduto), al Pesenti Fenaroli è stato fatto tutto come previsto dalle indicazioni regionali che avrebbero recepito le circolari ministeriali con le linee guida emanate già il 22 gennaio con integrazioni a febbraio. Nella sostanza i documenti per gli ospedali raccomandano, tra le altre cose, l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza per i dipendenti e la creazione di percorsi dedicati ai sospetti casi Covid in arrivo al pronto soccorso, di modo che non infettino chi è lì per altre patologie. Inoltre, le circolari dispongono che i pazienti contagiati siano sistemati in camere singole. Cosa fatta, da come è scritto nella documentazione dell’Asst, che fa parte del materiale acquisito nell’ambito dell’indagine della Procura.

Il vero problema del Pesenti Fenaroli è stato quello di aver covato inconsapevolmente il focolaio, ricoverando casi di Covid quando il Covid in Italia non era ancora ufficialmente emerso. “Nel periodo fra il 13 e il 22 febbraio – scrive nella relazione l’Asst – sono giunti pazienti successivamente ricoverati in Medicina generale con la diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta”, perché nessuno di loro “presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto”.

Riguardo alla sanificazione il Pronto soccorso – si legge nella nota – era stato sottoposto alla disinfezione di superficie e strumenti medici con il cloro. Nulla è dato sapersi dei reparti. Ricordiamo che a Codogno l’ospedale venne chiuso per alcuni giorni e intervenne un’azienda specializzata.

L’azienda ospedaliera non ha mai risposto alla stampa riguardo alle testimonianze raccolte.

La cronistoria di Valseriana News

Valseriana News è stata la prima testata locale a sollevare dubbi sulla gestione dell’ospedale in questo articolo pubblicato il 15 marzo, tre settimane esatte dopo il 23 febbraio,

In seguito sono state tante le testimonianze che si sono succedute per denunciare, sia dal personale sanitario che medico, una serie di atteggiamenti negligenti tra cui la mancata santificazione approfondita, la mancata creazione immediata di percorsi differenziati e di fatto la non completo mappatura e messa in quarantena di tutti i casi sospetti.

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2 Commenti

2 Comments

  1. GIUSEPPE VERDERIO

    11 Aprile 2020 at 17:59

    L’ASSESSORE GALLERA HA DETTO QUESTE TESTUALI PAROLE” PER ALZANO ABBIAMO FATTO TUTTO QUELLO CHE ANDAVA FATTO” …….FATE UN PO’ VOI

  2. Luigi

    11 Aprile 2020 at 22:09

    “Super faccia di bronzo”, solo capace di dare gli aggiornamenti con le cifre del giorno!!!

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