Cronaca
Covid: Regione Lombardia non isolò il focolaio bergamasco. Mai chiesta la zona rossa nonostante la gravità dei dati
Covid: anche Regione Lombardia sapeva la gravità della situazione della Val Seriana ma non chiese la zona rossa. La responsabilità penale individuata nelle opposizioni dei legali dei familiari delle vittime ai tribunali di Brescia e Pavia che hanno chiesto l’archiviazione. Si resta in attesa delle decisioni della Procura di Bergamo
Un altro tassello si aggiunge all’intricata questione della mancata zona rossa della bassa Valle Seriana (comuni di Nembro e Alzano Lombardo in provincia di Bergamo, provincia che ha registrato un eccesso di mortalità nei due mesi più tragici a inizio 2020 di 6000 persone) che da oltre due anni anima le cronache e l’inchiesta della Procura di Bergamo che dovrebbe chiudersi entro fine anno. Alla luce di quanto illustrato per la prima volta di persona proprio in Val Seriana, ad Alzano Lombardo pochi giorni fa (leggi qui), dal consulente della Procura, il dottor Andrea Crisanti, ovvero i numeri dei decessi che si sarebbero potuti evitare (dai 4000 ai 2000) se le misure di contenimento fossero state prese in maniera tempestiva (così come fatto nel lodigiano); oggi è ancora più determinate la ricerca delle responsabilità. E prima ancora delle responsabilità è necessario che ai cittadini e ai familiari delle vittime venga restituita la verità da sempre negata da tutte le parti politiche coinvolte. Oltre al raccapricciante rimpallo di responsabilità a cui si è assistito nel 2020 tra l’allora premier Giuseppe Conte e i vertici lombardi, oggi sappiamo che, non solo Regione Lombardia avrebbe potuto istituire una zona rossa in maniera autonoma (leggi qui), ma che il presidente Attilio Fontana fosse a conoscenza della gravissima situazione epidemiologica e che, nonostante ciò, chiese al Governo di restare in zona gialla senza chiudere e di fatto isolare il focolaio bergamasco.
L’email inedita
A pubblicare l’email, fino a ieri (1 dicembre 2022) inedita, è Domani, in un articolo online riservato agli abbonati a firma di Francesca Nava e Giovanni Tizian (domani – sabato 3 dicembre – altre pagine di approfondimento in edicola). Il messaggio di posta elettronica a cui si fa riferimento venne inviato alla protezione civile e alla presidenza del consiglio il 28 febbraio 2020 alle 16.59 dalla casella postale personale di Fontana quando tutta la Lombardia, a parte i 10 comuni attorno a Codogno (provincia di Lodi), era in zona gialla. L’oggetto: «Urgente – proposte misure contenimento della diffusione del Coronavirus ordinanza integrazione medie e grandi strutture vendita». In questa email, il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, chiedeva il mantenimento delle misure blande della settimana precedente, nonostante la situazione fosse già oltre la soglia critica. Ma cosa sapeva Fontana? Oggi possiamo dire che il presidente sapeva della gravità della situazione perché alla e-mail allegò uno studio in cui si citava espressamente l’indice di contagio già a livello R:2, perciò fuori controllo.
Uno dei passaggi cruciali: «Regione Lombardia, con la nota trasmessa ieri, ha richiesto il sostanziale mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo delle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus valide per questa settimana, già adottate con il decreto del 23 febbraio 2020 per i comuni del basso lodigiano e con l’ordinanza per il resto del territorio regionale». Questo documento viene menzionato anche nella consulenza tecnica depositata in procura a Bergamo il 14 gennaio di quest’anno e commissionata dagli inquirenti a tre esperti: Andrea Crisanti, Daniele Donato ed Ernesto D’Aloja.
A dimostrare come Fontana sapesse della gravità della situazione e soprattutto degli scenari previsti e del peso che il contagio avrebbe avuto sul sistema sanitario, non c’è inoltre solo la presentazione allegata all’email in questione, ma va ricordato che lo stesso giorno (28 febbraio 2020) gli stessi vertici regionali ricevettero i grafici del matematico Stefano Merler, della Fondazione di Trento Bruno Kessler, nei quali veniva comunicato che l’R0, cioè l’indice di trasmissione, in Lombardia era superiore a 2 e in provincia di Bergamo aveva un potenziale fino a 3.17, prospettando un’evoluzione tragica così come accadde (leggi qui).
Le responsabilità a livello governativo
Come abbiamo raccontato su Valseriana News in questi oltre due anni e mezzo, le responsabilità sono da cercare anche a livello Governativo. Ora infatti viene da chiedersi: all’invio di questa email anche il Governo venne a sapere della gravità della situazione in Lombardia e in provincia di Bergamo, ma cosa fece? Di fatto nulla. Ricordiamo che lo stesso Presidente Conte mentì all’opinione pubblica dicendo di non sapere di Alzano e Nembro se non alla data del 5 marzo (leggi qui). Lo stesso non firmò mai il Decreto pronto chiudere i due comuni (leggi qui) e, nella riunione del 2 marzo 2020, affermò che «la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato». Va ribadito, ogni volta che se ne ha occasione, che l’unico costo che si è registrato qui è stato quelle in vite umane. Nomi e cognomi di persone che non devono restare solo numeri inseriti nelle statistiche.
Prime risposte ai cittadini che hanno denunciato: i tribunali di Brescia e Pavia hanno chiesto l’archiviazione
Nel frattempo che i familiari delle vittime riuniti nell’associazione #Sereniesempreuniti attendono la conclusione della poderosa indagine bergamasca che darà le risposte sulle responsabilità, altri tribunali lombardi stanno archiviando le stesse denunce presentate dai familiari a Bergamo nel corso del 2020 in quelli che furono chiamati i “Denuncia Day” e passate per competenza territoriale ad altri territori. Sono le prime risposte che arrivano ai familiari tutt’oggi in cerca di verità per queste morti evitabili. Dal tribunale di Brescia è arrivata una richiesta di archiviazione perché “le negligenze e le incompetenze dei politici che hanno gestito la pandemia non integrano reati che sono gli unici fatti sui cui la magistratura penale indaga”. Mentre da quello di Pavia perché “non riuscendo a risalire al contagio del defunti, tali profili istituzionali (quelli politici) non risulterebbero comunque rilevanti per l’individuazione di responsabilità penali”.
A depositare le opposizioni a queste richieste di archiviazione proprio in questi giorni, i legali degli stessi familiari che invece ravvisano delle precise responsabilità penali e che hanno in corso anche il procedimento civile al Tribunale di Roma. “La mail di Fontana del 28 febbraio 2020, a mani della giornalista d’inchiesta Francesca Nava – spiega l’avvocato Consuelo Locati -, altro non fa che confermare la responsabilità innegabile di Fontana e della sua giunta, a partire dall’assessorato al Welfare di Regione Lombardia, nonché delle figure politiche del governo centrale, a partire dall’ex ministro della Salute Speranza e dall’ex Presidente del Consiglio Conte, per l’ecatombe che è conseguita dal mancato intervento tempestivo che tutte quelle figure politiche avevano l’obbligo giuridico e normativo di attuare per salvaguardare la vita di migliaia di cittadini. L’eccesso di mortalità nella bergamasca per la mancata attuazione della zona rossa già nei giorni immediatamente successivi ai primi due casi covid-19 all’ospedale di Alzano Lombardo è stata di 6000 decessi in più. Dato incontrovertibile e a fondamento dell’esistenza del nesso eziologico per le morti verificatesi nel territorio bergamasco, almeno“.
Locati continua: “Le motivazioni delle richieste di archiviazione sono infondate e non supportate da indagini. I politici hanno un obbligo giuridico di tutelare la vita dei cittadini: per questo incombeva l’obbligo, tra gli altri, di istituire la zona rossa nella bergamasca e di adeguare il piano pandemico nazionale e comunque di attuare quello datato 2006 e tale obbligo è stato violato nel momento in cui quei soggetti non vi hanno adempiuto. Riteniamo infine utile rilevare che condotte commissive possono essere individuate anche in capo ai soggetti titolari di posizioni di garanzia i quali, anziché limitarsi a non fronteggiare il rischio di contagio all’interno delle comunità di persone poste sotto la loro sfera di responsabilità, abbiano contribuito ad aumentarlo”.
Un contagio dilagante quello che interessò prima la Val Seriana, con comuni che nel mese di marzo 2020 registrarono un aumento della mortalità anche del 100%, poi la provincia di Bergamo e tutta la Lombardia. Una strage che merita le risposte dovute affinché venga restituita dignità a quei corpi accattasti nei camion militari. Immagini che tanto indignarono l’Italia e il resto del mondo, ma che tutti hanno fatto in fretta a dimenticare.
Gessica Costanzo
Continua a leggere le notizie di Valseriana News e segui la nostra pagina Facebook